di Massimo F. Finucci e Clarissa E. Bafaro La Prima Guerra Mondiale è stata sovente paragonata da Gabriele d’Annunzio ad Altro, data la sacralità dell’evento. Con le sue parole invitava all’azione, all’agire come valore supremo della vita, religiosamente intesa. È un combattente e un comandante ferreo, instancabile e audacissimo in terra, in mare e in cielo. Si distinse in molte imprese gloriose, uomo di pensiero e d’azione. L’11 febbraio 1918 compie l’impresa detta la Beffa di Buccari, in cui sperimenta i MAS (motoscafi armati siluranti), che d’Annunzio ribattezza con l’espressione Memento Audere Semper, Ricordati di Osare Sempre. Ai nuovi eventi post bellici, Conferenza di Pace, Trattative, Vittoria Mutilata, che porteranno alla presa dannunziana di Fiume, faranno seguito una serie di discorsi, dove è tutto un ripercorrere la sua esperienza di soldato. Tutti come un sol uomo sanno, e capito tutto, agiscono come un sol uomo, così che agli antichi discorsi di guerra, fanno eco i nuovi discorsi senza pace. Dove si risponde colpo su colpo come in trincea a un nemico nuovo e antico allo stesso tempo, dal volto civile e domestico, che si rassegna e presto dimentica, che prende forma nella cronaca del tempo, nel tedio dei fatti, in veste di opinione pubblica. Fatali saranno le sue parole, sintesi del suo più segreto pensiero, presagio denso del prossimo tempo avvenire per una più Grande Italia.
Il Poeta che viene dalla Propaganda di Guerra, si impegna a rendere chiaro e distinto per l’intelletto del Politico, quello che per il momento era solo un’intuizione.
Indicando una via degna per chi era in attesa del Futuro.
In prima linea la necessità di agire, non dà adito ad altre possibilità; così come dal silenzio si genera una scintilla, che anticipa la Fiamma.
Il Poeta per primo pone in linea il pensiero con la parola, tramite lo Stile, perché questa è l’ora epica dell’agire eroico.
Gabriele d’Annunzio, il Vate, in fondo era un Drammaturgo, che individuò per tempo per se stesso, un ruolo significativo all’interno del tragico momento storico, la parte del Poeta-Soldato.
Il 5 maggio 1915 è a Quarto e dà inizio alle Radiose giornate di maggio, con il suo discorso ufficiale per l’inaugurazione del Monumento ai Mille. Memore dello spirito risorgimentale, fedele alla religione patria, d’Annunzio esprime tutta la sacralità dell’evento attraverso un linguaggio, insieme evangelico e patriottico:
Il futuro si rendeva presente nel cielo di Quarto con l’aviatore Ettore Croce sul suo Blériot, invito ai giovani a prendere il volo, e a portare a compimento l’Opera Unitaria Risorgimentale, simboleggiata dalla bandiera di Fiume, avvolta in un velo nero e portata a d’Annunzio da Riccardo Gigante e Giovanni Host-Venturi. Nel suo discorso non poteva mancare l’invocazione al Re, in quel momento difficile a Roma, Maestà assente, ma presente. Da Quarto il pensiero di d’Annunzio va sull’ali dorate fino a giungere nella Capitale il 12 maggio, sollecitando e innalzando gli animi sornioni alla Grande Impresa.
A Roma il Vate vi rimarrà fino allo scoppio della guerra, poi coerente con il suo pensiero, si arruola volontario all’età di 52 anni nei Lancieri di Novara e parte per il fronte, pronunciando queste parole:
Le nuove armi della guerra moderna, aerei e mas, sono messe dal Poeta-Soldato al servizio di un’arma ancora più potente, la propaganda.
Il 7 agosto 1915 vola su Trieste e lancia volantini tricolore. A gennaio del 1916 in un incidente aereo perde momentaneamente la vista, e nel periodo di convalescenza scrive il Notturno, opera fondamentale per capire lo Spirito della Grande Guerra. Con quest’opera comincia il Culto dei caduti.
Il 9 agosto, con una squadra di sette biplani S.V.A. Ansaldo, è su Vienna e lancia volantini. Dopo l’impresa di Fiume e il lancio aereo del pitale e d’ortaggi su Montecitorio si ritirò sul lago di Garda in una villa che nominò Vittoriale degli Italiani, con la suggestiva espressione all’ingresso: Io ho quel che ho donato.
L’operazione editoriale dal titolo “Contro uno e contro tutti”, de La Fionda allora e de Le Frecce ora, colpisce nel segno e muove sin dall’origine dalle parole dello stesso Vate, che avverte:
Parole vibranti, che muovendo dalla sua arpa poetica, risuonano nel testo come ancorate a quel comune sentire, che rivive per immagini nell’animo del combattente.
Costante è il rincorrersi nella memoria delle azioni, dei volti, delle parole, dove momento per momento si sollevano come forze vive e si abbattono su quanto di mortificante le si para contro. D’Annunzio ritorna al suo posto, a Roma, da dove tutto ha avuto inizio, dall’Obbedisco Roma o Morte al Disobbedisco Fiume o Morte, per rivendicare la Vittoria, in nome degli eroi e martiri, dalle primizie di Aquileia all’ultimo fiotto di Paradiso. Il Paradiso è all’ombra delle spade, rammenta il Vate d’Italia con un giudizio immemore e d’altri tempi, che rivive nelle gesta dell’ultima ora, di coloro che furono gli ultimi testimoni delle parole che tolgono il respiro, ma che donano un’aria nuova al prossimo pensiero.