di Michele D'Ambrosio Contesto storico – culturale del romanzo. Per analizzare il contesto storico - culturale del romanzo, è necessario prima contestualizzarlo nella corrente letteraria del Verismo. I capostipiti del Verismo italiano Luigi Capuana, Giovanni Verga e Federico De Roberto si rifecero al Naturalismo francese. Essi furono tutti e tre siciliani. Teorico del movimento verista fu Luigi Capuana, fu lui a divulgare l’esperienza del francese Emile Zola e dei naturalisti francesi con diversi articoli e saggi critici raccolti in Il teatro italiano contemporaneo del 1872. In questi scritti, Luigi Capuana auspicò il superamento del dramma storico romantico e della tragedia classicistica a favore di un teatro più semplice e vicino al vero. Dal 1880, con gli Studi sulla letteratura contemporanea, Capuana si misurò direttamente con Zola ed il Naturalismo francese. Di Zola apprezzava la concretezza con cui aveva descritto il degrado della società parigina, ma non condivideva l’idea di un metodo sperimentale verista. Il connubio tra fedeltà al vero e fantasia, per Capuana, deve esistere ed è imprescindibile. Il teorico del Verismo italiano sottolinea maggiormente, rispetto a Zola, l’autonomia dell’arte rispetto alla scienza. Capuana, oltre ad essere uno dei teorici del Verismo, fu anche un abile narratore, oltre alle numerose novelle si può menzionare uno dei suoi più celebri romanzi, ovvero Il marchese di Roccaverdina (1901): ambientato nella campagna siciliana, esso racconta la segreta inquietudine ed i rimorsi di un nobile egoista che lo condurranno alla follia. Giovanni Verga, a differenza del contributo apportato da Capuana, diede al Verismo una maggiore attuazione del principio di impersonalità[1]. Secondo questo principio, lo scrittore deve quasi scomparire dalla narrazione, deve far parlare le cose servendosi di voci altrui. Per ottenere questo risultato, il catanese Verga utilizza la tecnica del coro di voci, come se il lettore fosse immerso nella realtà concreta del paese in cui è ambientato il romanzo, come se l’opera sembrasse ‹‹fatta da se››[2]. Sulla teoria dell’impersonalità di Verga, Pirandello auspicherà non più al solo nascondimento dell’autore, ma, addirittura, alla totale assenza dello stesso. Questa assenza di autore emerge in Pirandello in Sei personaggi in cerca d’autore (1921). Ricordando che l’adesione al verismo del Verga era già sostanzialmente avvenuta con la redazione di Vita dei campi, il pensiero dell’autore sul movimento si esprime a pieno in una lettera all’editore Salvatore Paolo Verdura del 21 aprile 1878: ‹‹Il realismo, io, l’intendo così, come la schietta ed evidente manifestazione dell’osservazione coscienziosa; la sincerità dell’arte, in una parola, potrà prendere un lato della vita italiana moderna, a partire dalle classi infime, dove la lotta è limitata al pane quotidiano, come nel Padron N’Toni.››[3] Federico De Roberto sarà colui che, seppur traslando lo studio verista dalle classi sociali meno agiate a quelle più elevate, nei suoi tre principali romanzi[4] proseguirà l’idea del disegno ciclico verghiano. Al centro del ciclo di De Roberto sono presenti le vicende di un’aristocratica famiglia siciliana, detta dei Vicerè in memoria della carica avuta dai loro antenati durante la dominazione spagnola dell’isola. Oltre alla menzione fatta ai tre maggiori esponenti siciliani della letteratura verista, non è possibile tralasciare, seppur limitandosi a degli accenni, altri autori italiani che diedero vita a vere e proprie letterature regionali[5]. Questi autori, pur rientrando nell’alveo del Verismo, non faranno parte della “scuola” siciliana di De Roberto, Capuana e Verga, ma si richiameranno al vero ed alla sua narrazione condividendo l’esigenza di una maggior vicinanza della letteratura alla realtà post – unitaria dell’Italia, nel pieno dell’epoca umbertina, con tutti i suoi problemi di carattere sociale ed economico. A Napoli possiamo menzionare l’esperienza della scrittrice e giornalista Matilde Serao (1856 – 1927), in Toscana gli autori Renato Fucini (1843 – 1921) e Mario Pratesi (1842 – 1921), a Genova Remigio Zena (1851 - 1917), a Milano Emilio De Marchi (1851 – 1901) ed in Sardegna Grazia Deledda (1871 – 1936). Prima di passare ad un’analisi più approfondita del romanzo di Verga, non si può non far riferimento alla condizione italiana della seconda metà dell’Ottocento. Il neonato Regno d’Italia ha visto la luce sotto non poche contraddizioni, la maggioranza degli abitanti della Penisola viveva in una situazione di indigenza totale, fame e malattie debilitanti erano frequenti, sul piano economico non si era competitivi con le maggiori potenze economiche quali Inghilterra e Francia, anche se va sottolineato come nel settentrione d’Italia si muovevano timidi tentativi di industrializzazione moderna (già in essere al momento dell’unità, a differenza del mezzogiorno in cui vigeva ancora una concezione della società molto vicina a quella del feudalesimo medievale)[6]. Il Paese, nei primi decenni della sua unità politica, era retto dai governi della Destra storica prima e della Sinistra storica dopo. Questi due schieramenti avevano ideali contrapposti sulla gestione dell’economia e della società, la prima a favore del centralismo economico e formata da esponenti di estrazione borghese e vicini alle idee liberali, la seconda dedita al decentramento economico e composta da esponenti più vicini alla classe popolare. L’instabilità politica ed economica del Paese portò molti connazionali ad abbandonare la loro terra e ad optare per un futuro di emigrazione nelle Americhe. Nel 1876, per volere del Parlamento, il Senatore Stefano Jacini venne incaricato di condurre un’inchiesta all’interno del Paese per approfondire la natura delle problematiche legate al settore agrario. Prendendo in esame la Sicilia (zona di nostro interesse), emerge una forte perdita nel campo della coltivazione degli agrumi a causa dell’epidemia del “male della gomma”, malattia che aveva colpito le piantagioni nel periodo in cui venne condotta l’inchiesta. Altra piaga economica, non secondaria, era incarnata dal brigantaggio, definito questo come il peggiore dei mali all’interno dell’economia siciliana[7]. In contemporanea all’inchiesta del Conte Jacini, in Sicilia venne condotta una seconda inchiesta da parte dei Deputati Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino dal titolo Inchiesta in Sicilia, con questa inchiesta vennero documentate le condizioni dell’isola in maniera analitica. I due Deputati delineano una Sicilia in cui povertà ed ignoranza spadroneggiano e dove la mafia si è totalmente sostituita ad uno Stato assente ed inefficiente, questa sostituzione trova conferma nella frase sui capi mafia: quando ‹‹si trovano sotto processo le loro violenze sanguinarie che opprimono il Paese, v’è come una forza arcana che li protegge contro chiunque, soprattutto contro l’autorità pubblica››[8]. Questa riportata dalle inchieste è la condizione sociale ed economica in cui è immersa la famiglia Toscano, protagonista del romanzo di Verga.
[1] Principio già ideato da Luigi Capuana, ma attuato a pieno da Giovanni Verga, ad esempio nelle novelle di Vita dei campi e Novelle rusticane e nei romanzi I Malavoglia e Mastro-don Gesualdo. [2] Così, lo stesso Verga, definisce l’impersonalità nella prefazione alla novella L’amante di gramigna. [3] Giovanni Verga, I Malavoglia, a c. di Ferruccio Cecco, Torino, Einaudi, 1995, p. XXXVII. [4] L’illusione (1891), I Vicerè (1894) e L’imperio (1929). [5] Regionale in quanto essi portarono in primo piano episodi di vita locale entro una dimensione geograficamente circoscritta. [6] La situazione economica del fu Regno delle Due Sicilie era totalmente diversa da quella degli stati settentrionali, questo a causa dell’arretratezza sociale causata dal dominio borbonico che concentrava la ricchezza solo nelle mani di pochi e a discapito della popolazione costretta a vivere secondo le consuetudini della mezzadria. Il Regno delle Due Sicilie era basato quasi totalmente sull’agricoltura, i pochi centri cittadini erano una sorta di oasi nel deserto delle campagne. [7] Cfr. Regio Istituto di Scienze Sociali, Atti della giunta per la inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola, vol. XV, Roma, 1876. [8] https://www.linformazione.eu/2011/12/franchetti-sonnino/ (consultato in data 20 giugno 2024).